Quando ero piccolo leggevo di tutto, leggevo Topolino mentre pranzavo, fumetti di ogni tipo, da Jacovitti e Bonvi a riviste come Il Mago ed Eureka. Mi reputo fortunato perché sono cresciuto circondato da libri di ogni tipo, dai classici dell’adolescenza che tutti conoscono fino ai più oscuri romanzi ambientati durante le guerre mondiali.

E leggevo come un infoiato, ogni tanto capitava il libro che mi rimaneva impresso per mesi e quando succedeva mi meravigliavo sempre del potere magico di quelle parole scritte, di quelle avventure in mondi lontani nel tempo e nei luoghi.
Sono storie di adolescenza che ricorrono spesso, non credo di aver mai letto o ascoltato interviste ad autori in cui non venisse menzionata un’adolescenza fatta di libri e di letture, quasi banale direi. Evidentemente ci deve essere una connessione fra il crescere con i libri in mano e la decisione di voler scrivere ad un certo punto della vita. Non tutti i lettori voraci diventano scrittori ma tutti gli scrittori sono lettori voraci.
Non ricordo quando, probabilmente durante il periodo della scuola media, iniziai a scrivere poesie. I risultati di quelle prime prove furono incoraggianti, non perché allora avessi la benché minima idea di cosa volesse dire scrivere una poesia, ma ricordo il giorno in cui scrissi la poesia ‘Le Carte’ e la consegnai a mia madre, riunita con le sue amiche per la partitella di carte settimanale. La lesse di fronte a tutte le presenti che reagirono con divertimento, interesse ed incoraggiamento. Non male come primo riscontro, assolutamente parziale ma foriero di una fiducia iniziale che forse mi porto ancora dentro. Non trovo altro motivo al perché dopo più di trent’anni sono ancora qui a scrivere.
Ricordo l’incontro con il genere Fantasy perché mi è rimasto impresso come poche altre cose nella vita.
Stavamo camminando una strada collinare che portava in montagna, probabilmente primi anni ’90, l’occasione era un’uscita scout e ci trovavamo in quelle zone collinari in cui imbocchi i sentieri che salgono su per la montagna, ma sono ancora circondati di alberi e cespugli. L’aria fresca, probabilmente primavera, pantaloncini corti, fiato lungo della gioventù abituata a camminare mentre ride e scherza.
C’era Pietro sicuramente, il più grande, poi c’eravamo io, Carlo e Maurizio. E Pietro ci raccontava di questa fantastica avventura di un mago mingherlino e malaticcio che aveva un gemello, guerriero formidabile ma che era ormai ridotto ad un grasso ubriacone per colpa della relazione problematica con il fratello.
E andavano indietro nel tempo.
E poi c’era un cataclisma.
E poi c’era una chierica bellissima che si innamorava del mago.
E noi camminavamo nel bosco, immaginando questi personaggi fantastici che vivevano in un mondo dove la magia era reale e poteva essere studiata, e potevano cambiare la storia con le loro azioni che erano sempre guidate dai forti sentimenti che li legavano. Eravamo immersi nella natura e nelle storie primordiali dell’uomo potente che cade nella follia accecato dal potere, lo sconfitto che trova il coraggio di rialzarsi e combattere per amore e per la giustizia, l’amore di una donna per due uomini, per due fratelli.
Boom. Amore a prima vista.
I ricordi sono sfocati nella mia mente ma impressi a fuoco in quell’anima di giovane che esplorava il mondo e i sentimenti. Non ho avuto la fortuna di studiare i grandi classici della mitologia a scuola perché il mio percorso scolastico mi ha portato a studiare ruote dentate e disegno tecnico. Ma per fortuna ho conosciuto il Fantasy.
E dopo Dragonlance arrivò Tolkien.
Ricordo che fu facile recuperare lo Hobbit, costava poco ed era in edizione ‘scolastica’, mi madre me lo comprò ed io lo divorai. Ma onestamente ne rimasi quasi deluso, non per la scrittura, o per il protagonista, o per la storia, quelli erano quasi perfetti, ma oramai ero entrato nel magico mondo di Dungeons & Dragons e non capivo cos’erano i Vagabondi. Il mio amore per il Fantasy cresceva di pari passo con cui cresceva il mio disgusto per come questa veniva trattata nel mercato italiano.
Ma Il Signore degli Anelli era irraggiungibile, per motivi a me sconosciuti, i miei genitori, normalmente molto accomodanti nel recuperarmi libri da leggere, si rifiutavano di comprarmi il Signore degli Anelli. Edizione Rusconi. Un botto di pagine dal prezzo di copertina intorno alle trentamila lire.
Credo fossi alle superiori, all’istituto tecnico, quando andai ad esplorare la biblioteca scolastica in cerca di un libro da leggere per scuola. Trovai il Signore degli Anelli. Avevamo un mese di tempo per leggere il libro scelto, io portai il Tomo e la professoressa mi guardò un pò dubbiosa sotto gli occhiali e mi disse ‘Sei sicuro? Sono molte pagine, magari facciamo solo la prima parte?’. Io la guardai con un poco di vergogna, ‘ok, vediamo quanto riesco a leggere, penso che mi piacerà’.
Ovviamente lo finii in una settimana. Tutto, compreso le appendici.
Anche di quell’esperienza ho ricordi sbiaditi ma persistenti. Come tutti i classici nerd dei primi anni ’90 ascoltavo Metal ed avevo da poco recuperato la cassetta del primo disco dei Motley Crue, Too Fast for Love. Chiunque abbia anche una minima conoscenza della lingua inglese sa che un disco dei Motley Crue neanche lontanamente potrebbe essere associato ad una saga Fantasy epica come il Signore degli Anelli.
Eppure quel ragazzino brufoloso che passava la settimana sdraiato sul letto a leggere Tolkien con in cuffia a ripetizione Too fast for Love non poteva trovare colonna sonora migliore per la sua lettura. Assolutamente inconsapevole del significato delle parole urlate dal gracchiante Vince Neil, complice tre anni di scuole medie passate a cercare di compiacere la professoressa di francese tale Signora Zanobini, si accontentava di immaginare che canzoni come Merry go Round parlassero del simpatico ma stupido Hobbit che faceva parte della più meravigliosa compagnia di avventurieri mai apparsa sulla faccia della terra.
L’amore per la narrativa Fantasy decollava di pari passo al disgusto per le edizioni italiane. Ma al tempo non lo sapevo, non riuscivo ad inquadrare il problema, sapevo che c’era qualcosa che non andava ma non sapevo cos’era.
Da quel momento non ho più abbandonato il genere Fantasy, decine di libri sono passati sotto i miei occhi, sono andato alla scoperta dei classici che la mia scuola non mi insegnava, ho scoperto Kafka, Tolstoj e Goethe, ho scoperto i francesi del XIX secolo e dichiarato Dumas mio spirito affine, leggendo e rileggendo il Conte di Montecristo anche più volte del Signore degli Anelli.
Ringrazierò sempre finché campo le edizioni Newton Compton per aver inventato i Cento pagine Mille libri, loro il merito di buona parte della cultura letteraria che mi sono fatto negli anni grazie alla loro letteratura per edicola.
Ma quando avevo bei soldoni da spendere per libri tornavo sempre nell’angolo Fantasy della libreria, che negli anni ho visto ingrandirsi a dismisura. E vai di Moorcock, Howard, Gemmell, Brooks (che non mi è mai piaciuto ma mi sono sforzato a leggere).
E di contorno sempre la fantascienza (finché con Asimov divenne il mio piatto principale), l’horror, la narrativa da IP come la chiamo io, quella basta su marchi importanti come Dungeons & Dragons o Warhammer.
Un amore che non mi ha mai lasciato, tra alti e bassi della vita. La mitologia riscritta, rielaborata, sempre potente, con quelle emozioni estreme, talvolta stupide, spesso profonde anche se narrano di elfi e stregoni.
Posso dire di aver letto di tutto nella mia vita, penso che solo gli scritti di Levi mi hanno lasciato solchi profondi nell’anima che non mi lasceranno mai, ma dopo lui le storie e i personaggi che mi accompagnano sono solitamente quelli che viaggiano in terre immaginarie con spade e magia. Perché quando tutto è fantasia ma lo scrittore riesce ad evocare quelle emozioni forti ed ancestrali che fanno parte di noi, allora non importa se si parla di elfi o di portali magici.
E poi è tremendamente divertente veder ruzzolare le teste degli orchetti nella polvere.